La cerimonia del Tè
Cha no yu ( 茶の湯 )
Il Cha no yu “acqua calda per il tè”, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone dietro al quale si nasconde una vera e propria filosofia di vita e va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda.
Le sue origini risalgono al rituale dei monaci Zen che bevevano a turno dalla stessa ciotola davanti all’immagine di Bodhidharma, monaco buddista indiano che secondo la leggenda generò la pianta del tè che, originaria dell’Asia meridionale, era nota in Cina già dal III secolo per le sue proprietà mediche e terapeutiche.
In Giappone, dopo una prima immissione all’inizio del IX secolo, fu necessario attendere il XII secolo per una piena diffusione in tutto il paese della pratica del tè. Questo avvenne grazie Eisai (栄西1141-1215) un monaco buddista tendai che, di ritorno dalla Cina, portò con sé una qualità particolare di tè verde, il matcha, ancora oggi comunemente usato nella cerimonia del tè.
La cerimonia, praticata all’inizio solo dai monaci Zen, successivamente si diffuse tra l’élite sociale: politici, nobili, samurai, commercianti e uomini di cultura.
Il cha no yu è un momento di profonda meditazione, è la completa rappresentazione dell’ideale Zen della semplicità, del vuoto, del distacco da ogni vincolo con il mondo materiale e dagli istinti corporali. Si basa su quattro punti cardine: armonia, rispetto, purezza e serenità.
Kei Kumai – Scena del film Morte di un maestro del tè – 1989
Nel XVI secolo sotto il patronato di Toyotomi Hideyoshi la cerimonia fu codificata e perfezionata dal più grande dei Maestri del tè, Sen no Rikyū (1522-1591) che diffuse questa pratica elevandola alla sua espressione più alta, facendone una vera e propria forma d’arte. Amante di uno stile semplice, ispirato alla sobrietà della vita immersa nella natura, Sen no Rikyū rifiutava ogni forma di ostentazione e praticava la cerimonia nello stile wabi-cha, concezione estetica tipica della cultura del tè, caratterizzata da raffinata semplicità, complementare al concetto del sabi, ideale estetico che indica la bellezza ricercata e solitaria di ciò che esibisce la patina del tempo. Lo stile del maestro Rikyū contrastava con quello del suo signore lo Shogun Toyotomi Hideyoshi che amava invece svolgere il rituale nella sua camera d’oro. Sembra che proprio il conflitto estetico nato tra i due uomini fu la causa della morte del maestro procurata con seppuku (suicidio) e ordinata dallo stesso Hideyoshi.
Kunikazu Utagawa – Seppuku
La ceramica Raku ( 楽焼 )
La diffusione del principio del wabi-cha sconvolse anche l’arte della ceramica giapponese. Le ceramiche finissime di origine cinese utilizzate a quei tempi furono sostituite rapidamente da nuove di rozza apparenza per incarnare l’ideale estetico di semplicità e povertà che Sen no Rikyū intendeva affermare.
Questi eleganti utensili, come avvolti in una sottile patina del tempo che rende tutto affascinante ed armonioso, sono poco decorati, hanno forme semplici e funzionali ed evidenziano una garbata bellezza più che una vistosa ostentazione.
Tutto iniziò quando Sen no Rikyū chiese a Chojiro (1515-1592), un operaio di origine coreana addetto alla produzione di tegole, di realizzare una ciotola senza usare il tornio ma semplicemente modellando la forma concava partendo da un pezzo di argilla.
La ciotola doveva avere un aspetto semplice, funzionale per l’utilizzo che se ne doveva fare e le sue dimensioni dovevano essere tali da poter stare nel palmo di una mano.
E.R. – Interno spirale – 2003
Il risultato fu talmente straordinario che Sen no Rikyū giudicò la tazza perfetta sia da un punto di vista estetico che pratico, in quanto l’aspetto semplice e rustico rispondeva a quell’esigenza di austerità che si prefiggeva. La tazza bassa e larga aveva una stabilità ideale, adatta ai numerosi spostamenti sui tatami durante la cerimonia del tè. Anche lo Shogun Toyotomi Hideyoshi fu entusiasta e conferì al vasaio l’autorizzazione a fregiarsi del sigillo raku (termine che significa “comodo, maneggevole”) e da allora la sua famiglia utilizza questo nome e per 15 generazioni porta avanti in Giappone la tradizione di questo tipo di ceramica.
E.R. – Interno craquelé – 2003
La stanza del tè
Chashitsu ( 茶室 )
Sen no Rikyū ideò la separazione della stanza del tè dal resto della casa, pensando ad un padiglione (originariamente una capanna) immerso nel giardino, realizzato con cura, precisione e con materiali poveri ma di gusto raffinato.
La purezza e la semplicità della stanza nella sua totale mancanza di arredi e nel suo rigore, rispecchiano le dottrine dello Zen. La dimensione canonica della stanza del tè è di 4 tatami e mezzo (circa 9 metri quadrati). Nella stanza vi si accede attraverso una piccola porta (nijiriguchi) non più alta di un metro che costringe gli ospiti ad inchinarsi in segno di umiltà e rispetto e fin dall’inizio della sua istituzione, tutti dovevano entrare disarmati e osservare le stesse regole. Le finestre sono schermate e la luce che filtra sommessa all’interno conferisce un alone di particolare fascino ad ogni elemento. Nel suo interno, in una nicchia detta tokomono, si trovano il kakemono, rotolo di pergamena su cui sono scritti versi sacri e un vaso di squisita fattura con una semplice composizione floreale detta chabana (茶花) “fiori per il tè”.
E.R. – Chabana – 2016
Gli strumenti per il rituale vengono collocati sul tatami in base alla stagione e al tipo di cerimonia.
Nel rito più semplice, chiamato usucha (tè leggero), a partire dall’ospite più importante si comincia con il mangiare un dolce.
Si prosegue poi con la preparazione del tè che viene servito al primo commensale, il quale si scusa con quello vicino perché beve per primo. Prima di bere, la tazza viene ruotata per mostrare una finitura di riferimento a colui che ha servito il tè. Dopo alcuni brevi sorsi e scambiati segni di apprezzamento, il commensale pulisce il bordo della tazza e la posa davanti a sé. Il procedimento si ripete per ogni partecipante al rito. A questo punto il primo ospite pronuncia una frase celebrativa con la quale chiede di esaminare gli strumenti usati.
Momento saliente è quando il cerimoniere chiede di dare un nome poetico al chashaku, il cucchiaio di bambu per mescolare il tè.
Chashitsu – Hotel Okura, Minato-ku, Tokio – architetti Sotoji Nakamura e Yoshiro Taniguchi – 2004
La stanza del tè è sopra ogni cosa la Dimora della Pace; è la Dimora della Fantasia concepita per soddisfare esigenze artistiche individuali e Dimora del Vuoto, spoglia da ogni possibile orpello e priva di alcun contenuto che non sia il vissuto libero dagli attaccamenti della vita mondana.
I personaggi che si muovono al suo interno escono temporaneamente dal mondo e dal suo affanno per contemplare il vuoto, dimenticare la razionalità e raggiungere un approccio totalizzante con le cose e con le persone.
La stanza del tè è un luogo fisico ma è anche un luogo mentale.
La sua semplicità la rende un autentico santuario, dove è bandita ogni volgarità e dove è possibile consacrarsi all’indisturbata adorazione della Bellezza.
Il rito del tè ispira purezza e armonia, il mistero della carità reciproca… è un culto dell’Imperfetto, e al tempo stesso un fragile tentativo di realizzare qualcosa di possibile in quell’impossibile che per noi è la vita…la filosofia del tè… è igiene in quanto costringe alla pulizia; è economia, in quanto mostra che il benessere va ricercato nelle cose semplici, non in quelle complicate e costose; è geometria morale in quanto definisce il rapporto armonico tra noi e l’universo. Rappresenta l’autentico spirito della democrazia orientale, giacché trasforma tutti coloro che gli sono devoti in aristocratici del gusto”.
(Lo zen e la cerimonia del tè – Kakuzo Hokakura)
Marcel Rawady – Temple Gate
Marcel Rawady – Red Leaves